L’invasione hipster da Astoria a Testaccio: due casi di gentrification a confronto

La Voce di New York
13/11/2020

Scritto da Irene Ranaldi

Una ricerca iniziata con una testi di dottorato mette in parallelo il quartiere del Queens e quello di Roma per raccontare uno stesso fenomeno, pur nelle strutturali differenze delle due città, destinato a cambiare la composizione sociale e la morfologia di due aree dalla forte identità

Come milioni di persone sono “caduta in amore” – falling in love, una delle espressioni inglesi più romantiche – con la città di New York qualche anno fa, a tal punto da scegliere di avventurarmi oltreoceano (da Roma) per scrivere qui parte della mia ricerca per la tesi di dottorato.

Una tesi in sociologia, Teoria e Ricerca Sociale, che ha analizzato quella particolare trasformazione urbana denominata gentrification dal titolo Identità urbane in movimento: una ricerca sulla gentrification in un quartiere di Roma (Testaccio) e uno di New York (Astoria).

Partivo dalla stesura di un altro volume, dedicato allo storico rione romano dove vivo da trenta anni, Testaccio. Quello che stava avvenendo nel mio quartiere – l’aria “popolare” e il cibo detto del “quinto quarto” che improvvisamente diventano cool – lo vidi accadere anche ad Astoria, nel Queens, dove accanto a trattorie a base di moussaka e sirtaki di sottofondo, iniziavano ad aprire ristoranti vegani.

La ricerca si inserisce in quel filone degli studi urbani che si occupa di quartieri popolari ed ex industriali in fase di riqualificazione e ricambio di classe sociale. Queste aree sono considerate spesso casi esemplari di zone in transizione, dove in seguito al disinvestimento di attività economiche si vengono a creare nuove comunità, frutto della combinazione di rinnovate architetture e dell’arrivo di residenti delle classi medio-alte, con conseguente apertura di attività creative e culturali.

Fenomeni riscontrabili anche in Europa e in altri continenti ma che trovano negli Stati Uniti, e soprattutto a New York, una feconda produzione di studi e ricerche. Attraverso un approccio qualitativo, costituito principalmente dall’osservazione partecipante e delle interviste in profondità, ho quindi osservato il rione Testaccio, nel centro storico di Roma, e il quartiere di Astoria, nel distretto del Queens a New York, entrambi considerati contesti urbani peculiari dal punto di vista delle mutazioni intervenute nel mercato immobiliare, della natura del processo di trasformazione urbana, delle categorie socio-economiche coinvolte e del grado di diversità culturale esistente.

Quello che ho osservato viene definito gentrification. Ma che cos’è la gentrification? A coniare il termine fu la sociologa Ruth Glass introducendo nel 1964 una raccolta di saggi dedicata ai cambiamenti sociali in corso a Londra. Il termine deriva dal sostantivo gentry, riferito in primo luogo alla nobiltà minore e, in senso lato, alle persone di buona famiglia che compongono la borghesia.

Il dibattito più acceso, e per certi versi ideologizzato, sui temi della gentrification è quello che riguarda le cause del fenomeno.Una tra le posizioni più influenti è quella di un compromesso fondato sulla nozione di un fenomeno complesso e pertanto suscettibile di spiegazioni plurime, complementari e non riducibili. Il dibattito sulle cause della gentrification ha visto contrapporsi, da un lato, coloro che ritengono importante l’impulso dei fattori legati all’offerta edilizia, dall’altro coloro che accentuano il ruolo dei fattori legati alla domanda di spazio espressa dai gentrifiers.

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Una vista del quartiere Testaccio negli anni ’90

Testaccio è un rione che convive con molte identità, popolare ma allo stesso tempo abitato e frequentato da una borghesia composta di ricercatori e docenti universitari, giornalisti, professionisti, attori e artisti. Un rione che cambia completamente volto tra il giorno e la notte. Testaccio è ormai da dieci anni diventato un brand e un indicatore di questo, sono gli annunci immobiliari o le pubblicità di ristoranti e locali che si trovano nel quartiere Ostiense, Marconi o Portuense ma spesso si spacciano per essere a Testaccio. È brand a tal punto che a Long Island City (Queens, New York) vi è un ristorante con questo nome, arredato all’interno come una “piccola Testaccio”. La ricerca dell’identità è una dinamica che rende vive le persone e i quartieri, soprattutto i quartieri dove l’elemento delle relazioni umane è ancora molto forte come a Testaccio; i quartieri altro non sono che il palcoscenico e il cuore pulsante dove le persone vivono.

Tuttavia Testaccio convive con una duplicità: un’auto-rappresentazione che lo vuole ancorato al suo passato di quartiere popolare, un po’ emarginato, privo delle attrattive del centro storico romano in cui, comunque, si situa. Allo stesso tempo, è visto dai nuovi residenti o dai city user – come possono essere ad esempio gli studenti di passaggio della sede dell’Università di Roma Tre presente nell’ex Mattatoio, dagli artisti e attori che vi soggiornano per brevi periodi, dai frequentatori dei locali e discoteche – come un luogo dotato di molto appeal dove poter assaporare ancora il gusto dei vecchi rioni popolari e dove l’aggettivo “popolare” possiede una connotazione completamente differente da quella che ne può dare un abitante delle case dell’Istituto per le case popolari.

In questo rione la nascente gentrification non sta presentando tratti critici come avviene in alcune città come Berlino dove è molto attivo il movimento anti-gentrification, o alcuni distretti di New York come Harlem da dove, almeno in Italia, arrivano echi di alcuni conflitti. La separazione sugli spazi urbani fra i ceti sociali non sembra essere avvertita, e così il giornalista famoso o il venditore del banco di frutta del mercato sono divisi sì da molti zeri nel conto in banca, ma tutto sommato, dalla stessa parete nel condominio. È ancora un rione dalla robusta identità. E quando una mattina ho incontrato a Testaccio un ragazzo che a New York sarebbe definito un hipster, portare al guinzaglio un furetto, non ho potuto che pensare ai racconti di guerra ascoltati negli anni dagli anziani, quando i roditori facevano parte delle pietanze quotidiane, in mancanza d’altro. E ho capito che era giunto il momento di osservare e scrivere di questi cambiamenti.

Nel caso di Astoria, si assiste all’abbandono della percezione riduttiva del quartiere come di un villaggio esclusivamente abitato dalla popolazione greca (e prima ancora italiana) in favore di una presenza multietnica, e soprattutto alla “scoperta” di Astoria come uno dei quartieri più cool del Queens e decisamente più economico rispetto a Manhattan. Astoria, dalle interviste sul campo che ho realizzato nei miei soggiorni newyorchesi, sembra attrarre negli ultimi anni un numero crescente di giovani coppie che lavorano a Manhattan dove però non possono permettersi l’affitto.

Nelle due aree si intravedono i primi segnali di sviluppo della gentrification e questo processo che potrebbe comportare nel prossimo futuro una profonda modificazione della struttura sociale delle due zone. Tentando una sintesi, i due quartieri sono estremamente differenti per estensione territoriale, componente e varietà demografiche. Ma questo è ovvio, trattandosi di due quartieri situati in due città profondamente diverse per questi e altri indicatori, come New York e Roma.

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Il cartello di fronte agli housing projects di Astoria

Dal punto di vista urbanistico, tuttavia, condividono la particolarità di essere attraversati entrambi da una linea di demarcazione immaginaria che divide le case popolari (social housing in Astoria, pur se con una popolazione nettamente minoritaria rispetto a Testaccio) dalla abitazioni costruite da gruppi privati bancari, edili. Astoria venne inserita nello studio dell’Housing Study Guild intorno al 1920 insieme ad altri 11 slums del Queens e Brooklyn per individuare terreni a basso costo e non ancora abitati per ospitare una popolazione di circa 15.000 persone. La zona venne ritenuta idonea e strategica per la vicinanza a Manhattan e l’accessibilità dei valori fondiari. Inoltre la vicinanza alla riva dell’Est River, all’epoca non ancora edificata, la diversità etnica e la struttura sociale eterogenea, rappresentavano complessivamente delle caratteristiche tali da rendere Astoria una delle zone migliori dove poter accogliere gli abitanti degli slum vicini, senza creare conflitti.

Per un europeo che di New York dovesse conoscere solo Manhattan e si recasse nel Queens appunto ad Astoria, il parallelo con alcune zone di Roma come con il rione Testaccio per quanto riguarda il richiamo identitario, la percezione di essere in un villaggio a sé stante, o con il quartiere Garbatella per la tipologia edilizia a due piani con il giardino e/o orto prospiciente l’entrata, scatterebbe immediato.

Il quartiere di Astoria ha ora di fronte a sé un progetto di riqualificazione che ne potrebbe mutare le caratteristiche fondamentali da qui ai prossimi anni. Mentre i prezzi delle case crescono e la classe media sostituisce l’impianto etnico-comunitario preesistente, sulla Steinway aprono locali etnici e alla moda e la fabbrica di pianoforti, un pezzo di storia di questo spicchio di Long Island City, è investita dalla crisi economica. Epoche e mode si sono succedute da quando il Grande Gatsby attraversava Astoria, che era ai suoi tempi un pezzo di campagna, per raggiungere Manhattan dalla sua Country House a Long Island: “The city seen from the Queensboro Bridge is always the city seen for the first time, in its first wild promise of all the mystery and the beauty in the world” scrive Fitzgerald della vista della città dal ponte che collega il Queens a Manhattan. Oggi Manhanttan si fa sempre più vicina ed il quartiere-villaggio potrebbe cambiare il suo volto.

A Roma, Testaccio, ha al suo centro il contenitore vuoto dell’ex Mattatoio che aspetta da quaranta anni una destinazione che non sia solo un’idea di luogo, ma un vero e proprio progetto che ne valorizzi le enormi potenzialità culturali e artistiche e le trasformi in concrete opportunità di sviluppo e di valorizzazione del territorio e della sua storia e cultura.

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L’ex mattatoio a Testaccio, Roma

Nel frattempo, attrae hipster e artisti che fanno aumentare i prezzi degli appartamenti e cambiano irreversibilmente, assieme agli effetti dello spostamento dello storico mercato, le geometrie spaziali ed i paesaggi del suo territorio, mutandone il tessuto sociale, culturale ed economico. Ieri ai margini, oggi al centro della città, Testaccio attende risposte che forse arriveranno. Solo, non si udiranno più i colpi d’incudine cantati da Pier Paolo Pasolini.

E, sbiadito,

solo ti giunge qualche colpo d’incudine

dalle officine di Testaccio, sopito

nel vespro: tra misere tettoie, nudi

mucchi di latta, ferrivecchi, dove

cantando vizioso un garzone già chiude

la sua giornata, mentre intorno spiove.

Astoria e Testaccio, entrambi i quartieri muovono la propria identità urbana alla ricerca di un cambiamento e di una trasformazione che li vede attivi e vivaci soggetti nella vita delle due diversissime metropoli in cui si collocano, proponendo modelli di evoluzione culturale e sociale che trovano singolari punti d’incontro a migliaia di chilometri di distanza, come se fosse la globalizzazione stessa a dettare le condizioni ed i modi della trasformazione di un’identità sociale urbana. Una trasformazione, così come il passato, che non porta con sé necessariamente sempre e soltanto connotazioni negative, ma che può offrire, se partecipata e correttamente condivisa e condotta, l’opportunità di raggiungere risultati positivi per l’intera comunità difendendone il passato e, contemporaneamente, il futuro. Una sfida senz’altro non semplice da accogliere.

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